sabato 2 luglio 2011

La rivoluzione. Parte 1: Numeri, cioè Fion ma anche Fiom.

I tempi che succederanno fanno forse disperare sull'accadere di secondo e terzo, tuttavia questo che leggete è il primo degli incontri in questo blog nei quali si parlerà di rivoluzione:  altrove nei post precedenti  non ho certo riposto sotto il moggio le mie convinzioni politiche, ma stavolta ci metterò tutta l' intenzionalità e la programmaticità possibili. Benvenuti dunque in un trittico che i contemporanei rivolgimenti del quotidiano quasi hanno commissionato modo antiquo, dato che a scrivere di un argomento così importante non mi sarei mai azzardato se proprio personalmente non ci fossi capitato di mezzo.

Babbo quando ero piccolo una sera aveva  aperto un libro e si era messo a leggere: Fiabe Irlandesi, edizioni Bur di James Stephens a cura di Margherita Cataldi. Tra le varie leggende molte erano del "ciclo di Fionn" mitico eroe irlandese dei tempi andati. Così Fionn una volta, assetato di conoscenza capitò sulle rive del fiume Boyne, dove sedeva Finn E'ces ovvero Finn-il-veggente, immobile da tempo immemore in attesa di catturare il Salmone della Conoscenza, li nella pozza del fiume Boyne. "Che farai dopo avere attenuto la conoscenza?" chiese Fionn. E Finn rispose: "Scriverò una poesia".
Fionn poco convinto chiese ancora " Come può il Salmone contenere la conoscenza nella sua carne?"
Finn rispose :" C'è un albero di nocciolo che sovrasta una fonte segreta in un luogo segreto. Le nocciole della conoscenza cadono in acqua dall'Albero Sacro, e mentre galleggiano, un Salmone le prende in bocca e le mangia. "Sarebbe più facile se uno si mettesse direttamente alla ricerca del Sacro Nocciolo, e mangiasse così le nocciole dall'albero!" propose il ragazzo. "No che non sarebbe molto facile-rispose Finn- perchè l'albero si può trovare solo grazie alla conoscenza,e la conoscenza si può ottenere solo dopo aver mangiato le nocciole, e le nocciole si possono avere solo mangiando il salmone.

Questo per dire che non sempre la via più diretta, la più pratica e la più decisa è la via possibile. Ma allora qual'è la via che porta alla pianificazione, alla messa in opera e all'attuazione di una rivoluzione? Avere i  numeri per farla? E' una questione di quanti si è? L'ultima volta che ho visto i numeri per una rivoluzione è stato allo sciopero generale in gennaio della Fiom, ma da allora come mai non è cambiato nulla?E' il cosiddetto momento storico non favorevole perchè ancora non si  sono create le condizioni necessarie? Dobbiamo preparare le condizioni necessarie per fare la rivoluzione, ma quali sono in fin dei conti? Oppure i programmi rivoluzionari sono ancorati a vecchie ideologie che allontanano perchè spaventano i componenti di quella "classe sociale"che forse più di ogni altra si sente soverchiata dall'ordine costituito, e lo spaventarsi nel riconoscersi in posizioni "sconfitte dalla storia" è causa di quell'allontanamento che fa mancare alla spinta rivoluzionaria l'appoggio e non ne garantisce la continuità necessaria per essere incisiva ed efficace. Parleremo quindi di Numeri, di Condizioni Storiche e di Programmi.

Numeri, e con questo titolo tutto il mio amore per il Vecchio Testamento.
Non possono essere i numeri (inteso i grandi numeri) dei partecipanti a un movimento politico rivoluzionario il cardine e la base su cui far partire una rivoluzione, e cioè - fatto salvo che ovviamente qualsiasi rivoluzione ha come punto d'arrivo l'ottenimento dell'egemonia almeno all'interno dello Stato- la spinta rivoluzionaria non può sottomettersi ad una soglia minima di partecipanti, al di sotto della quale sicuramente non ha senso neppure cominciare:  la rivoluzione può partire da un uomo solo. Se nel passato era indispensabile cominciare avendo dalla propria parte un ampio sostegno, (e più avanti dirò perchè) oggigiorno le condizioni sono notevolmente mutate. Le dittature che ci opprimono fanno del controllo delle masse e delle coscienze il loro punto di forza, partire da subito con l'idea di soppiantare il dittatore e convincerci di poter essere noi per discendenza divina a detenere lo scettro della visibilità e della comunicazione è illusorio, porta da subito ad amare sconfitte e mortifica la motivazione a proseguire le azioni di rivolta. Penso insomma che il raggiungimento di un ampio consenso popolare sia il vero obiettivo di una rivoluzione, è una strada lunga e difficile ma indispensabile, a patto che ovviamente il consenso di cui si va in cerca sia responsabile, libero ed in piena coscienza, non frutto di alchimie mediatiche che obnubilano il discernimento e il razioncinio. L'ottenimento della partecipazione attiva del popolo e il raggiungimento dei grandi numeri è il traguardo di una rivoluzione, non il punto di partenza. La rivoluzione deve dunque procedere per tappe, e la prima di queste è a mio avviso proprio il cercare di raccogliere consensi, o molto più precisamente, fare informazione. A questo punto pare quasi di essermi autocontraddetto, riconoscendo la priorità di un'alta quota dei partecipanti per poter procedere lungo il cammino rivoluzionario, ma non è così: non importa quanti si è all'inizio, il numero sarà raggiunto attraverso l'informazione secondo canali non convenzionali e soprattutto attraverso l'assiduità e la costanza delle azioni dimostrative dei rivoluzionari, meglio se a cadenza quotidiana. Vedendo ogni giorno per mesi e mesi sulle strade ed in piazza anche un esiguo numero di persone che non mollano e non demordono, a patto di un'altra condizione fondamentale, i numeri verranno. La condizione è l'informazione e la diffusione, ma di questo parlerò nel terzo nostro incontro. Nel secondo spiegherò perchè a mio avviso quel che ho detto non funzionerà mai in Italia, e difficilmente nel resto del mondo. Spero di non aver deluso chi si aspettava ricette per l'osteria della rivoluzione.

Concludo infine con un'ulteriore specifica. I grandi numeri all'inizio di una rivoluzione non sono soltanto irraggiungibili, a mio avviso sono anche dannosi e non auspicabili. Questo perchè la pluralità di vedute- questa si desiderabile- fin troppo spesso si realizza in un caos decisionale, nel prestare ascolto a voci confuse di ideologi da quattro soldi desiderosi solamente di lustrare agli occhi di un'assemblea la loro fulgida e quantomai  vuota immagine, ed inoltre presta il fianco a sabotatori prezzolati. Voglio insomma dire che non credo nella partecipazione democratica e nel dogma ipocrita che ogni idea ha il diritto di esprimersi, che qualsiasi contributo ha pari dignità e che occorre ascoltare tutti quanti. Non mi interessano le levate di scudi ipocrite da ben pensanti, ne le cicale che parleranno adesso di somiglianze tra comunismo e fascismo, dittature equipollenti. Dalle mie parti si dice "chentu concas chentu berrittas" come dire che troppe teste costano caro. Non credo nella democrazia, non almeno alle prime mosse di una neonata rivoluzione e mi pare che Marx e Gramsci, senza perdere di visto l'uomo, abbiano ben spiegato cosa si profila all'umanità dopo un giro di vite sui cosiddetti "diritti democratici", ognuno secondo le sue capacità e ognuno secondo i suoi bisogni.