domenica 1 aprile 2012

Betto.

Ho deciso di incastrarmi e di darmi delle scadenze. Kiwi dice che non sono fatto per darmene tali, che sono l'uomo del poi lo faccio; ha ragione, e come tutte le volte in cui una donna ha ragione ti da fastidio. Cercherò dunque di far in modo che l'impegno del blog mi riporti al senso di affidabilità e sicurezza- che peraltro stasera dovrò ben esser in grado di dimostrare alla cena con i futuri suoceri-che tanto rincorro e che nessuna corda e nessun albero maestro è capace di tenermi ascondito.
Mettetevi ben la cera nelle orecchie, parlerò nei due post a venire di solitudine.

Nulla che abbia a che fare con l'arcinoto secondogenito di Giuda sposo di Tamar (tempi in cui Faraday era ancora a venire,dico in senso cronologico),e spero nulla di patetico. La solitudine-intendo il sentirsi soli- la si esorcizza, la si accetta, la si combatte o la si subisce,la si vede sugli altri come una malattia da cui si è già vaccinati. Ad ogni modo insomma la solitudine è sempre molto ben chiaramente avvertita ed essa non è mai una sensazione di cui si conosce l'esatta origine. Ci si sente soli quando non si è compresi, non si può dimostrar agli altri i nostri sentimenti, quando non viene affermato il senso della nostra persona e le differenze tra noi e chi circonda non sono una ricchezza ma un'impenetrabile barriera. Oppure un unione di tutte le precedenti.
Vedo quotidianamente mille splendidi soli, immigrati, pazienti psichiatrici, anziani alla ricerca di ambulatori nascosti in quei lunghi corridoi bianchi del luogo dove lavoro. Dove stanno coloro che essi amano?

Non ho davvero idea di dove alla fine lui sia sepolto, non so tanto dei fratelli di mia bisnonna, eppure uno di questi, riposa da qualche parte dopo una vita di fatiche. Ormai anziano e solo, preso da un morbo che oggi credo coincida con la demenza senile, morì in uno ospizio nella Cagliari del dopoguerra. Dicono-se mai non mi confondo con un altro fratello ancora, ma che importanza ha? La vita quando ha valori così altri è più grande della gente che poi l'ha vissuta e le bugie sono stupende, gli imbrogli invece no, come dice Sepulveda -che abbandonato e senza eredità suonasse nelle feste e nei matrimoni. Una delle sue ultime frasi prima di morire fu: Ricordatevi di me, quando mangiate un buon agnello arrosto. Una sorta di dolcissima ed ingenua eucarestia, richiesta con le parole di un vecchio. Quale modo migliore di annullare la solitudine, se non il relegarla a quel misero lasso di tempo che è la vita di un uomo; quale sconfitta pù bruciante per la solitudine, l'esser annientata con la memoria delle generazioni future?
Dicono ancora che si soprannome si chiamasse Betto.

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