venerdì 1 novembre 2013

L'arancio

Non stiamoci a chiedere quanto tempo è passato dall'ultimo post.

Più che il quando  -meno importante-   era il perchè, Tziu Leandru Succu era nato. Le favole sul romanticismo, sull'amore nel talamo nuziale,  le lasciamo a chi vuole passare il resto della vita a sforacchiarsi il sottocute con pennette di insulina; i diabetici in Sardegna ci sono per quanto zucchero o meno mettono nel mirto, non per le sdolcinatezze che usano tra di loro nel parlare quotidiano. 
E Tziu Leandru Succu era nato perchè,  di ritorno dalle trincee piene di Yprite, Jiaju Succu, al secolo Antonio Maria Succu classe 1892, aveva la mente sconvolta per quello che aveva visto in guerra. Una volta arrivato a casa con gli occhi sbarrati, la moglie aveva cercato come meglio poteva di curare il suo male d'animo: e le donne di terapia ne conoscono bene una, per quanto da quelle parti la somministrassero con parsimonia. Dopo nove mesi nacque Tziu Leandru. 

Quando parlo con quelli che l'avevano conosciuto, sono pronti tutti a giurare che nacque già con la berritta calata sulla testa, già con un accenno di barba e con quel carattere tremendo, testardo come un asino e spinoso come un cardo. L'infanzia fu tra le montagne con gli animali a currere sos pegos, e questo fu forse il momento della vita  in cui lo si vide meglio predisposto verso l'esistenza; l'isolamento, se non contribuì certo ad addolcire il suo carattere, lo rese comunque  più riflessivo, lo mise in ascolto. 
Si sposò con Filomena Chigini, l'unica ragazza bionda dell'intero paese,  e  due giorni più tardi morì suo padre. Tutto quello che riuscì a dire a sua madre fu: "Il prossimo Antoni Succu avrà i capelli biondi".
E, di poche parole come sempre era stato, uscì. Dopo nove mesi nacque Antonio Succu,  di Leandro. Biondo.

L'eredità che Antoni Maria aveva lasciato ai suoi tre figli fu divisa in parti, senza tirare a sorte però, decidendo sulla base delle necessità, come si dice, a ogubiri. Al primo figlio Bore toccarono tres cungiados poco fuori il paese e venti  'accas, di quelle con le tette gonfie di latte e dai capezzoli bruni.
Al secondo toccò la casa sulla strada principale, e a Leandru una tanchitta con dentro qualche albero da frutta e dieci capre: praticamente nulla, ma Leandru stava bene così.
In paese avevano da poco ordinato un nuovo prete, uscito l'anno precedente dal seminario: 26 anni aveva, e don Agostino si chiamava. Alla mattina del suo primo giorno di attività in parrocchia, uscì dalla canonica di buon ora per andare in visita, per conoscere le famiglie, e per portare il messaggio del nuovo Cristo del Concilio. Leandru non partiva prevenuto, ma a lui i preti non erano mai piaciuti. Jiaju Succu raccontava che in trincea, in Altitalia, i preti se ne stavano al caldo, ed i cristiani  nella neve buttati tutta la notte rimanevano, a congelarsi le dita dei piedi.
Ma don Agostino sembrava diverso: ascoltava molto e aveva una voce dolce, volle conoscere Filomena ed il piccolo Antoni,  e poco prima di uscire si trattenne a lungo tra gli alberi da frutta, le mele, l'arancio che Leandru aveva piantato, i kaki e le pere settembrine, dolci da mangiare secche, d'inverno, con il formaggio e il vino. 
Tanto fece e disse, tanto disse e fece Filomena, ma andò a finire che Antoni dopo due mesi partì in seminario, e Leandru non potè neppure dire ba. 

Il loro unico figlio in seminario. Un pubblico onore, ma, nella pratica, meno braccia per lavorare, e per Leandru, una vera sventura. Se il rapporto con la chiesa, prima, era di fredda cortesia e diffidenza, Leandru si indurì. Neppure a Natale andava a messa, Filomena stava sola sul banco a cantare i salveregina, e quando a Pasqua si benedivano le palme e gli ulivi, e la Domenica suonavano le campane, Leandru a muso duro: sas barras chi ti c'acchìrrene.
Don Agostino non osava farsi vedere in casa Succu, e Leandru al solo sentirlo nominare masticava parole incomprensibili come il brontolio di una mola in pietra che gira a vuoto. 

Un pomeriggio di Novembre, però, Don Agostino a casa Succu ci venne eccome. Aveva ricevuto una lettera dal seminario: Antoni si era ammalato di una brutta malattia e lo stavano curando in ospedale a Cagliari.
Leandru era di sasso, Filomena piangeva, le capre, fuori, erano zitte. Solo don Agostino parlava. Pregava.
In chiesa si organizzarono veglie di preghiera e don Agostino scrisse personalmente ad un suo amico dottore: Antoni doveva salvarsi da quella malattia. 
E così successe, i medici parlavano di un miracolo. Quando tornò a casa, Antoni pesava dieci chili in meno, aveva i capelli sottili come fili d'oro, ma era guarito. Filomena piangeva, e Leandru zitto, come le capre; ma dentro di sé, l'animo di chi ha ricevuto una grazia che non si aspettava. 

Una sola cosa rimaneva da fare, perchè tutti se la aspettavano: ci voleva una statua a Sant'Antonio per Antoni che era guarito. Una statua da esporre in chiesa, bella, con l'aureola in argento, per ricordare e ringraziare, con sotto magari una targa PGR. Per Grazia Ricevuta. 
Leandru non battè ciglio, ma neppure disse no.  Tutto il paese aiutò la famiglia Succu a trovare l'artista per scolpire il legno, i soldi per pagarlo li misero in parte don Agostino, in parte lo zio Bore che aveva venduto per l'occasione 10 'accas e 5 vitelli.  Mancavano pizzi per il vestito del Santo, ma ci pensava Filomena a quello, e poi mancava il legno per la statua.
E a quello doveva pensarci Leandru.

Dopo 6 mesi la statua era pronta, il paese uscì tutto per portarlo in processione, a Giugno, in tarda serata, con il fresco, di giorno il caldo la testa ti cuoceva. La processione partiva dalla chiesa e arrivava fino a casa Succu; poi con un'ampia curva tornava indietro. Il santo davanti su un baldacchino portato a spalla, e tutti gli altri seguivano. Tutti.  Ma non Tziu Leandru.
Leandru, seduto sopra un sedile in pietra davanti a casa sua lo vide arrivare, preceduto solo da Don Agostino. Si incontrarono, non si capiva chi fosse più immobile, se il Santo o Leandru seduto sulla pietra. Ma tra i due penso Tziu Leandru. Capivi che respirava, solo perchè dal naso usciva del fumo, ogni 30 secondi: la sigaretta era accesa dentro la bocca, come gli avevano insegnato i soldati dalla guerra di Crimea, quando lui aveva 8 anni e loro 80, così i cecchini di notte non vedevano le braci accese, dicevano, e non potevano prendere la mira. Solo dopo alcuni minuti Leandru, senza togliersi la sigaretta di bocca accennò ad un mezzo sorriso, probabilmente l'unico della sua vita a memoria di cristiano.
 "Tziu Succu, cosa ha da ridere?"gli chiesero.
Leandru disse solo: "Niente. Mi ricordo quando era un arancio."

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